Esercizio di percezione dell’esterno attraverso l’interno: essere centrati quando ci muoviamo all’esterno.
In una posizione comoda (in cui avremo realizzato concretamente la presenza, il rilasciamento e gli appoggi necessari) rivolgiamo la nostra attenzione al respiro: quando si sarà placato e allungato, portiamo la nostra attenzione all’interno del cranio, all’altezza dello spazio tra le sopracciglia, in cui dovremmo sentire il respiro molto più nettamente.
Ancoriamoci a questo punto e percepiamolo come il nostro centro: siamo all’interno di noi e osserviamo lo spazio interno (chidākāsha).
Da qui, ci rendiamo conto che possiamo osservare anche il mondo esterno attraverso la finestra dei sensi. Rappresentiamoci lo spazio interno come una stanza, nella quale noi sediamo al centro. Di fronte a noi, ad una certa distanza, si aprono le due finestre degli occhi, attraverso le quali osserviamo l’esterno. Rimaniamo, però, coscienti di essere nella stanza; anzi, riserviamo a quest’ultima l’attenzione maggiore. In altre parole, osserviamo interno ed esterno o anche l’esterno dall’interno (solitamente, invece, osserviamo l’esterno ben sporti dalla finestra dei sensi).
Notiamo la differente sensazione di questo tipo di percezione a livello del plesso solare.
Non interrompiamo l’esercizio, ma cerchiamo di continuare a percepire questa modalità anche nella vita ordinaria.
Nell’essere umano, la percezione ordinaria dovrebbe essere esclusivamente quella esperimentata attraverso quest’esercizio. Tale attività percettiva gli consentirebbe di agire nell’ambiente esterno totalmente incondizionato da quest’ultimo. Purtroppo, il modo comune di entrare in rapporto con l’esterno è passivo nei confronti di quest’ultimo e rende il soggetto percipiente schiavo dell’oggetto percepito: l’intero insieme psicosomatico ne soffre e, particolarmente, il plesso solare, centro di vitalità, che “protesta”, disperdendo il proprio potere, facendo perdere la vitalità all’intero organismo.
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